Arte
Carlin Bergoglio
Il 25 aprile 2019 ricorreva il sessantesimo anniversario della morte del giornalista e pittore cuorgnatese Carlo Bergoglio, al secolo Carlin. Con questo diminutivo ha firmato molte centinaia di articoli sportivi, dapprima sul Guerin Sportivo e sulla Gazzetta del Popolo e poi, dal 1945 su Tuttosport, che ha contribuito a fondare e che dirigerà per dieci anni tra il 1949 e il '59.
Vignettista di rara bravura e pittore per diletto, ha raggiunto mete di elevato lirismo poetico nel rappresentare il "suo" Canavese, vale a dire il territorio intorno a Cuorgné, tra Rivarolo, Castellamonte e Pont o Belmonte. Più rare sono le vedute di Torino e le scene sportive. Egli ha dipinto in campagna ritraendo numerosissimi paesaggi, lasciandoci un'eredità iconografica impareggiabile, in grado di mostrare questo territorio prima che il disordine edilizio degli anni del Secondo Dopoguerra lo deturpasse definitivamente in molte delle sue prospettive. Accanto agli scorci si contano numerose scene di vita quotidiana, dai mercati, al lavoro contadino, alle atmosfere urbane.
Tecnicamente è stato un impressionista fuori tempo, attardato di circa mezzo secolo, ma non ha mai voluto etichette e per questo ha percorso una strada artistica del tutto personale.
Il Museo d'Arte di Cuorgné a lui intitolato, con duecento quadri e altrettante caricature, offre un'antologia esaustiva del genio artistico di quest'uomo eclettico che non amava considerarsi un pittore.
Cesma, per valorizzare l'opera di Carlin, sta preparando una grande mostra che verrà inaugurata nel gennaio del prossimo anno.
Autoritratto e due delle tante opere di proprietà del Museo d'Arte Carlin Bergoglio di Cuorgné.
Una singolare opera di Picasso
Nel giugno 1968, Pablo Picasso stava per compiere 87 anni e accusava qualche problema di salute, anche se la vitalità e la produzione artistica erano ancora notevoli. Per questo era in cura dal dottor Jean Stéhelin di Cannes noto per aver curato molti VIP dell'epoca.
La parsimonia del grande artista è proverbiale e forse per pagare il professionista, anziché mettere mano al portafogli, l'anziano pittore donò un'opera con tanto di dedica. Questa pratica la ripeté nuovamente tre anni dopo, nel 1971.
Da pochi anni i discendenti del medico, che curò anche l'Aga Khan, hanno immesso sul mercato l'opera ed è stato possibile visionare il notevole capolavoro. Si tratta di un disegno a china, “al tratto”, della modella nuda sdraiata nell'atto di leggere un libro. La singolarità risiede nel fatto che il disegno è realizzato su una pergamena di riutilizzo di quella che sembra essere una prova di stampa dell'elegante cartella del portfolio con 10 acquetinte, realizzate tra il 1964 e il ’65, intitolato "Sable Mouvant". La raccolta viene pubblicata nel 1966 da Louis Broder e accompagna, acquisendone il titolo, l’omonimo poema di Pierre Reverdy.
Trovo questo ritratto inedito a Montecarlo e ho modo di studiarlo nel dettaglio.
La fotografia in trasparenza rivela chiaramente il titolo a stampa, anche se fu raschiato, forse da Picasso stesso, per poter riutilizzare il foglio. D'altronde questo è il periodo in cui l’artista dipinge su semplici cartoni ricavati da scatoloni da imballaggio, pertanto non stupisce che abbia riutilizzato un materiale nobile come la pergamena.
In alto Pablo Picasso nel 1967 e nell'icona al centro la ripresa in trasparenza dove emerge la scritta raschiata.
Un pittore dimenticato
Il 5 ottobre 1973, all’età di soli 46 anni, in completa povertà, moriva a Cuorgné il pittore Lino Grignolio, oggi completamente dimenticato.
Ebbe una formazione invidiabile all’Accademia Albertina dove studiò scultura con Delfo Paoletti e pittura sotto la guida di Felice Casorati, che lo apprezzò per i paesaggi.
L'uomo era estremamente riservato, al limite della misantropia, e quando ebbe a parlare di sé, a un amico si definì "pittore di toni e non di volumi". Proprio in ciò traspare l’essenza della scuola casoratiana.
Un vicino di casa ebbe a raccontarmi che partiva dalla sua vecchia casa nel centro storico e andava a dipingere in autobus, spessissimo ad Alpette.
Grignolio visse la condizione di pittore incarnandola senza tentennamenti, giungendo a rifiutare offerte di insegnamento, che pure avrebbero potuto offrirgli un salario stabile.
Dopo una fase giovanile nella quale espose e riuscì a vendere alcune opere, giunse progressivamente a isolarsi richiudendosi nello studio o dipingendo in solitudine “en plein air”. Questo atteggiamento lo condusse inevitabilmente all’indigenza e nell’indigenza morì.
Nella casa di riposo Umberto I di Cuorgné si conserva uno dei suoi capolavori: l’autoritratto, che non volle mai vendere. Dopo la sua scomparsa la mamma lo tenne con sé e morendo lo lasciò alla casa di riposo dove trascorse i suoi ultimi anni.
Autoritratto e due paesaggi canavesani di montagna.
Storia
La battaglia di Nikolajewka
Il 26 gennaio ricorre l'anniversario della battaglia di Nikolajewka in terra di Russia, dove gli alpini nel corso della disastrosa ritirata con poche armi e la forza della disperazione hanno rotto l’accerchiamento e, al costo di un sanguinosissimo scontro, hanno sfondato l'attestamento sovietico aprendosi la strada verso il ritorno contando 8.000 tra caduti e dispersi solo nelle file italiana. Questa è una delle storie più drammatiche e dolorose della nostra storia militare
Gli eroi di quella drammatica giornata sono molti, tra tutti il generale Giulio Martinat (caduto sul campo), e il generale Luigi Reverberi, comandante della divisione Tridentina, determinante nel trascinare alla vittoria ciò che restava dei suoi battaglioni.
Tra gli anonimi eroi di quel giorno c’era mio padre (allora ventitreenne), guastatore della IX compagnia del XXX battaglione "Genio Alpino". Nelle concitate fasi dell'assalto, a ridosso del rilevato della ferrovia, fu ferito a una spalla. Grazie alla solidarietà dei compagni riuscì a salvarsi, altrimenti non sarei qui a scrivere salutandolo con rimpianto.
Mattina del 26 gennanio 1943 le colonne alpine giungono al costone dal quale si scaglieranno su Nikolajewka.
Il bambino salvato da Mamma Tilde
Quella di Guido Foa ed Elena Recanati è stata una grande storia d’amore, vissuta nel momento più drammatico del ‘900. Lei per vivere con Guido rinunciò a seguire i genitori e i fratelli in Argentina. Si sposarono a Torino nell’agosto 1942; lei aveva 20 anni e lui 22.
Sin dal dicembre di quell’anno i bombardamenti sulla città divennero drammatici e furono costretti a sfollare a Cuorgnè, dove l’8 novembre del 1943 nacque il loro figlio Massimo.
Quando il bambino aveva pochi giorni incominciarono le retate contro gli ebrei e dovettero nascondersi dapprima a Prascorsano e poi a Canischio. Qui, in seguito a una delazione, vennero rintracciati e arrestati. In quell’occasione furono anche derubati di tutti gli averi, compresi i gioielli di famiglia che rappresentavano l’unica modesta ricchezza necessaria a sopravvivere.
Nel breve periodo di detenzione a Torino, precedente al loro internamento nel famigerato campo di sterminio di Auschwitz, la madre superiora (Suor Giuseppina De Muro), che assisteva il ramo femminile del carcere, riuscì a nascondere Massimo di appena nove mesi tra la biancheria e a farlo pervenire a Matilde Boggio, una conoscente di Cuorgné, oggi onorata quale "Giusta tra le Nazioni". “Mamma Tilde”, così sarebbe stata chiamata, ancorché poverissima, tenne il bambino con sé e lo protesse dichiarandolo suo nipote alle autorità nazifasciste che continuavano a cercare gli ebrei e lo salvò.
Di Guido, che del dicembre '44 si ammalò di polmonite, si persero le tracce ad Auschwitz, mentre Elena scampò al massacro e nell’ottobre 1945 poté riabbracciare suo figlio.
Elena Recanati con Massimo in barca sul Po due anni dopo la Liberazione e in alto Massimo adulto, divenuto intellettuale e poeta.
Carlo Alberto archeologo in Sardegna
Pochi sanno che il re Carlo Alberto è stato un grande appassionato di Archeologia e ha partecipato a scavi in Sardegna.
Il poliedrico sovrano risorgimentale ebbe la grande passione per l’Archeologia e per le antichità della Sardegna che coltivò sin da giovane, quando nel 1819, appena ventenne, intraprese il primo viaggio nell’isola, in occasione del quale scavò, attrezzi alla mano, al nuraghe di Sant’Antine, liberando l’ingresso che dava accesso al grande cortile antistante il torrione megalitico centrale.
Il sovrano dalla vita avventurosa e romantica è alla base della storia dell’Archeologia italiana, con clamorose scoperte che ancora oggi segnano in maniera indelebile la conoscenza delle antiche civiltà del Mediterraneo.
Questa sua grande passione è evidente oltre che nei documenti ufficiali, nella sua corrispondenza privata con la donna di cui era segretamente innamorato: Maria Antonietta Truchsess von Waldburg contessa di Robilant, alla quale non esitò a spedire una preziosa moneta romana rinvenuta personalmente sullo scavo, unitamente a un dettagliato resoconto di una giornata trascorsa svolgendo il mestiere di archeologo.
Tra gli anni Venti e Quaranta dell’Ottocento, intorno all’interesse del re si sviluppò un grande affaire di falsificazione, montato a danno del sovrano da personaggi senza scrupoli, che si adoperarono a produrre, o far produrre, una numerosa serie di idoli in bronzo, definiti sardo-fenici, in parte confluiti nel patrimonio di opere d’arte di Palazzo Reale.
La collezione è ritornata alla luce recentemente grazie a una rete di mostre organizzate da Gabriella Pantò e Raimondo Zucca a Torino, Oristano e Cuorgné.
Rara fotografia del sovrano forse tratta da un ritratto giovanile e in alto particolare di uno degli idoli bugiardi.
Ricorrenze
don Andrea Oberto
Il 2 marzo 2008, alla veneranda età di novantasei anni, ritornava alla casa del Padre don Andrea Oberto. Il ricordo di questo singolare sacerdote, uomo di grande fede e cultura, è rimasto vivo nella gente di Ciconio (TO), dove fu parroco per circa 60 anni e in quella di Borgiallo, dove nacque, frequentò la scuola elementare e mantenne solide radici.
Al di là dell’impegno pastorale che negli anni ‘70 lo condusse a ricoprire il delicato incarico di vicario di mons. Luigi Bettazzi, vescovo di Ivrea, lo ricordiamo per essere stato un alpinista appassionato che redasse un suggestivo diario delle ascensioni effettuate tra il 1931 e il ’54, quando le Alpi non erano ancora interessate dai cambiamenti climatici e presentavano paesaggi e scenari oggi scomparsi.
“Deo gratias levavi oculos meos in montes”, così conclude il suo diario di montagna pubblicato per i tipi delle Edizioni Nautilus Torino, con una nutrita rassegna fotografica realizzata e diligentemente schedata dallo stesso autore.
Agosto 1942 - in vetta ai Becchi della Tribolazione
Monumenti
La casaforte di Servino
In valle Soana, nel vallone incontaminato di Servino la grande casaforte medievale de “lo Grand Betum”, testimone della storia del popolamento delle terre alte di questo tratto dell’arco alpino, sta vivendo la sua ultima stagione. Ove non si intervenga rapidamente e in maniera risolutiva per fermare il degrado, le generazioni successive non potranno che ammirare un rudere informe. La nostra generazione ha colossali responsabilità di conservazione del patrimonio di Beni Culturali e il Caso di Servino è soltanto uno dei tanti monumenti che il territorio sta inesorabilmente perdendo.
Un survey archeologico del 2005 ha consentito di recuperare materiali ceramici compatibili con i secoli del pieno Medioevo. Questa struttura edificata per volere signorile in un’epoca forse anteriore alla fine del XII secolo testimonia la penetrazione delle comunità locali nella foresta dei versanti alpini.
Intorno a quello che fu un centro economico di potere feudale si è sviluppata l’antropizzazione del vallone con due grandi abitati oggi completamente abbandonati (Servino e Fontana), nei quali si legge una interessante stratificazione insediativa difficilmente leggibile in altri contesti.
Veduta frontale della casaforte di Servino e nei particolari un'architrave incisa con balestriforme e il frammento di un vaso rinventuto in adiacenza all'ingresso del piano terra.